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Differenze tra le versioni di "Eresia"
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− | + | Si chiama '''eresia''' la negazione delle verità di fede insegnate dalla Chiesa. Il termine indica anzitutto una errata concezione di fede, che consiste nel separare una o più verità singole dal contesto generale della fede della Chiesa, giungendo fine alla negazione di un [[dogma]]. Da questo punto di vista si può intendere con "eresia" il contrario di "dogma". | |
− | + | "Eresia" deriva dal greco αἵρεσις, haìresis derivato a sua volta dal verbo αἱρέω (hairèō, "afferrare", "prendere" ma anche "scegliere" o "eleggere"). | |
Ne deriva la mancata comprensione e/o accettazione dell'interezzaa della verità, cosa che conduce, di per sé, all'errore: una verità parziale è una falsità. Comporta, ovviamente, anche la mancata sottomissione all'[[autorità]] ecclesiastica che detiene, unica, la funzione di insegnare nell'intero corpo della [[Chiesa]]. | Ne deriva la mancata comprensione e/o accettazione dell'interezzaa della verità, cosa che conduce, di per sé, all'errore: una verità parziale è una falsità. Comporta, ovviamente, anche la mancata sottomissione all'[[autorità]] ecclesiastica che detiene, unica, la funzione di insegnare nell'intero corpo della [[Chiesa]]. | ||
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+ | Il termine "Eresia" compare fin dagli scritti del Nuovo Testamento. negli Atti degli apostoli (5:17, in origine dunque eretico, era colui che sceglieva, colui che era in grado di valutare più opzioni prima di, cfr. Atti, 24:5, 24:14, 26:5, 28:22) per indicare varie scuole (o sette) come quelle dei Sadducei, Cristiani e Farisei. | ||
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+ | Con le Lettere del Nuovo Testamento tale neutralità del termine viene meno: in 1 Corinzi 11:19, Galati 5:20, 2 Pietro 2:1, haìresis inizia ad assumere dei connotati dispregiativi e ad indicare la "separazione", la "divisione" e la rispettiva condanna.[2] Secondo Heinrich Schlier lo sviluppo in negativo di hairesis procede con l'analogo sviluppo del termine ekklesia: haìresis ed ekklesia divengono due opposti.[3] | ||
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+ | Secondo Alain Le Boulluec, fu Giustino (100-162) il primo apologeta ad utilizzare sistematicamente il termine "eresia" per combattere le correnti cristiane considerate devianti.[4] | ||
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La teologia oggi distingue : | La teologia oggi distingue : |
Versione delle 22:54, 8 apr 2020
Si chiama eresia la negazione delle verità di fede insegnate dalla Chiesa. Il termine indica anzitutto una errata concezione di fede, che consiste nel separare una o più verità singole dal contesto generale della fede della Chiesa, giungendo fine alla negazione di un dogma. Da questo punto di vista si può intendere con "eresia" il contrario di "dogma".
"Eresia" deriva dal greco αἵρεσις, haìresis derivato a sua volta dal verbo αἱρέω (hairèō, "afferrare", "prendere" ma anche "scegliere" o "eleggere"). Ne deriva la mancata comprensione e/o accettazione dell'interezzaa della verità, cosa che conduce, di per sé, all'errore: una verità parziale è una falsità. Comporta, ovviamente, anche la mancata sottomissione all'autorità ecclesiastica che detiene, unica, la funzione di insegnare nell'intero corpo della Chiesa.
Cristo stesso annunciò il verificarsi di eresie nella sua Chiesa (cfr. Mt|13,6 ; Mt|13,24-39) e gli scritti apostolici del Nuovo testamento ne danno testimonianza.
In Template:Pb e Template:Pb si delinea la tendenza di "falsi fratelli" a staccarsi dalla Chiesa per formarne una loro, aspetto che rimarrà attraverso i secoli, una caratteristica delle eresie.
Il termine "Eresia" compare fin dagli scritti del Nuovo Testamento. negli Atti degli apostoli (5:17, in origine dunque eretico, era colui che sceglieva, colui che era in grado di valutare più opzioni prima di, cfr. Atti, 24:5, 24:14, 26:5, 28:22) per indicare varie scuole (o sette) come quelle dei Sadducei, Cristiani e Farisei.
Con le Lettere del Nuovo Testamento tale neutralità del termine viene meno: in 1 Corinzi 11:19, Galati 5:20, 2 Pietro 2:1, haìresis inizia ad assumere dei connotati dispregiativi e ad indicare la "separazione", la "divisione" e la rispettiva condanna.[2] Secondo Heinrich Schlier lo sviluppo in negativo di hairesis procede con l'analogo sviluppo del termine ekklesia: haìresis ed ekklesia divengono due opposti.[3]
Secondo Alain Le Boulluec, fu Giustino (100-162) il primo apologeta ad utilizzare sistematicamente il termine "eresia" per combattere le correnti cristiane considerate devianti.[4]
Nella teologia
La teologia oggi distingue :
- un'eresia materiale quando si aderisce a un'eresia oggettiva, senza per altro avere coscienza di essa
- un'eresia formale quando di aderisce a un' eresia oggettiva, conoscendone i fondamenti
e quindi si distingue tra
- Peccato di eresia quando si conserva per sé l'errata comprensione o la negazione di un dogma senza farne pubblica confessione
- delitto di eresia quando si manifesta oggettivamente l'appartenenza a comprensioni errate o eterodosse.
Il nucleo della teologia dell'eresia per san Paolo sta sotto il principio di una necessità nella storia della salvezza. Secondo tale necessità, la colpa dell'uomo che mutila e limita la Verità di Dio, rimane pur sempre nella volontà di Dio di cui la Chiesa è espressione.
In questa prospettiva la teologia considera le eresie come maniere nelle quali la Verità di Dio, in quanto è diventata verità dell'uomo, rimane umiliata e di fatto cresce solo nello spirito dell'uomo. Questa considerazione costituisce così il motivo della continua ricerca (senza peraltro giustificare l'agire errato) perché la Chiesa sia condotta alla verità completa. Di fronte alle eresie dunque la Chiesa non si limita a difendere la fondatezza della Verità, ma dal confronto con esse apprende più profondamente il significato della Verità stessa, valutando e respingendo come contraddittorie quelle interpretazioni che ne limitano la comprensione e il suo divenire.
La storia della Chiesa è quindi anche la storia del no progressivo, sempre più ampio e più chiaro pronunciato contro le eresie in nome del necessario discernimento per distinguere la Verità dagli errori dell'uomo.
Nel Diritto canonico
Chi è caduto nell'eresia in maniera giuridicamente constatabile non appartiene più in senso pieno alla Chiesa.[1]
L'eresia pertinace, recidiva e ostinata, può comportare le conseguenza penali canoniche previste anche per l'apostasia, fra cui è compresa la scomunica. Tuttavia la Chiesa ha il dovere di interpretare con comprensione ed amore le affermazioni altrui e tenere conto infine che le verità cristiane conservate sviluppano una dinamica oggettiva e soggettiva , volta all'eliminazione o alla trasformazione delle affermazioni eretiche in vere. Ad una comprensione cristiana, si presenta dunque come primo aspetto il fatto che l'eresia può esistere in battezzati che pure intendono rimanere fedeli a Cristo. In altre parole il Cristianesimo è ancora contenuto virtualmente nel concetto globale di Cristianesimo posseduto dall'eretico.
Di per sé, l'eretico non rinnega l'intera fede cristiana, ma rifiuta di essa una determinata verità di carattere divino e cattolico e pertanto si può affermare che resta pur sempre un credente. Su queste basi si potrebbe arrivare anche al concetto di un'eresia solo verbale, che in realtà sarebbe un errato non conformismo rispetto alla terminologia della Chiesa, dunque piuttosto uno scisma. Nel corso della storia dunque, è pensabile che un'eresia reale si riduca ad eresia solo verbale. Va tenuto presente inoltre che nella storia concreta di un'eresia si possano verificare, nella prassi e nella dottrina, alcune attualizzazioni dell'essenza del cristianesimo, potenzialmente sempre conservate e offerte nella forma cattolica senza essere giunte allo stesso esplicito livello di attualizzazione.
Le posizioni eretiche possono quindi costituire uno stimolo per lo sviluppo della prassi e della teoria ecclesiastica, ed esercitare così una positiva funzione nella storia della salvezza.
Bibliografia
- Voce Eresia in Dizionario di teologia, a cura di Karl Raher e Herbert Vorgrimler, Morcelliana, Brescia 1968